Alle porte del terzo Slam dell’anno, quello britannico, non si parla d’altro che di questo: scandalo alla vigilia di Wimbledon, è davvero scioccante.
Qualche mese fa, i top player dell’Atp e della Wta hanno sottoscritto e inviato una lettera agli organizzatori dei quattro tornei del Grande Slam. Nella missiva, che non rappresentava un ultimatum ma solo un tentativo di aprire un dialogo costruttivo con le due associazioni, si chiedeva, sostanzialmente, una diversa redistribuzione dei montepremi.

I tennisti hanno battuto cassa, in parole povere, facendosi portavoce di quello che, a quanto pare, è un pensiero comune a entrambi i circuiti: si guadagna troppo poco, benché le cifre dei prize money siano spesso apparentemente altissime, a fronte delle spese che ogni atleta sostiene durante l’anno. E a quanto ammontino più o meno queste spese lo ha rivelato, nei giorni scorsi, Taro Daniel, che attraverso un’intervista rilasciata al Financial Times ha acceso i riflettori su una questione parecchio annosa.
Il 32enne di origini giapponesi, oggi 157esimo nel ranking Atp, ha illustrato tutto per filo e per segno, sottolineando come sia difficile, per un tennista professionista che non vince regolarmente come magari Jannik Sinner o Carlos Alcaraz, mandare avanti la propria “attività”. E, in men che non si dica, un piccolo scandalo è scoppiato proprio alle porte del terzo Slam dell’anno.
Tanto tennis ma niente avocado: una passione che costa cara
Daniel ha tirato le somme, facendo i conti e illustrando in maniera pratica quanto sia dispendiosa, al giorno d’oggi, con il Tour che praticamente non si ferma mai, questa professione.

“Solamente di spese operative un giocatore normale spende circa 20mila dollari al mese – ha spiegato – tra cibo, hotel e spostamenti. Quando ero giovane rinunciavo all’avocado, perché costava qualche dollaro di troppo. Un volo last minute da Indian Wells a Miami costa almeno 500 dollari, e la maggior parte dei giocatori porta con sé due persone più un bagaglio extra per racchette e attrezzatura. Insomma, un viaggio di sola andata e completamente “interno” agli Stati Uniti può arrivare a costare fino a 2.000 dollari”.
“I soldi vengono guadagnati all’estero – ha aggiunto – quindi il premio è tassato alla fonte. Il tennista è una piccola azienda, ma con tutti i dipendenti che viaggiano continuamente. Un coach può costare 50.000 dollari all’anno, più il 10% dei montepremi. Per questo la spesa si aggira intorno ai 100.000 dollari annui, e non certo per un coach esperto“. A partire da questi dati, il giapponese ha poi formulato una proposta: “I quattro tornei dello Slam attirano un giro di denaro mostruoso, incassando una cifra compresa tra i 350 e i 500 milioni di dollari all’anno. Penso che la soluzione più giusta sia quella di dividere una parte di quella torta, dando 100mila dollari a testa a tutti i primi 300 o 400 tennisti del ranking mondiale. Questo compenso verrebbe fornito dalle varie associazioni, dagli Slam, da WTA e da ATP, si tratterebbe di circa 8 milioni da ognuna delle organizzazioni, mi sembra un’operazione di buon senso e assolutamente praticabile”. Qualcuno ascolterà il suo appello?





