Fantozzi, noi e il calcio

La morte di Paolo Villaggio, avvenuta lunedì scorso a Roma, sta generando celebrazioni numerosissime e commosse, trasversali e unitarie, del genere destinato soltanto a chi nel corso della propria vita qualcosa del proprio paese è evidentemente riuscito a cambiarla. Tante e tali sono le responsabilità culturali di Paolo Villaggio e del suo personaggio più celebre e influente, il ragioniere Ugo Fantozzi, che cercare di elencarle tutte sarebbe un’operazione imperfetta e probabilmente intempestiva. Servirà altro tempo – e più riflessioni di quante ne siano già state compiute negli ultimi anni – per individuare tutti quei meriti e per avere una consapevolezza piena e profonda, se mai ci riusciremo, già soltanto delle contaminazioni linguistiche e stilistiche rintracciabili nelle nostre vite e riconducibili al suo lavoro.

Ma una delle cose forse meno osservate e descritte di Fantozzi – e che oggi valga la pena citare brevemente qui, come ad aggiungere un nostro cero simbolico alla sterminata processione in corso – è quanto Fantozzi sia stato influente nel fornire alla generazione dei nati tra gli anni Settanta e Ottanta un modello di rapporto con il calcio. È un aspetto solitamente citato in direzione inversa, sottolineando cioè la straordinaria capacità di Villaggio di veicolare in modo comprensibile e familiare modelli di massa già esistenti e riconoscibili. Ma per tutti quelli che hanno cominciato a vedere i suoi film prima ancora di cominciare a vedere partite di calcio vale di più il contrario: Fantozzi ha raccontato ai giovanissimi quale posto avrebbe avuto il calcio nelle loro vite.

La prospettiva dominante nel racconto del calcio presente nei film di Fantozzi è stata quasi sempre quella in cui la maggior parte di noi sarebbe oggi in grado di riconoscere la propria: non quella del tifoso accanito o dell’ultrà (il Donato Cavallo di Eccezzziunale… veramente, per intenderci), né quella dell’impallinato competente (un modello molto più recente), ma quella dell’appassionato di calcio semplice, il tifoso da poltrona livello base, a volte maldisposto ma costretto dalle circostanze a rinunciare alla visione di una partita.

E del tutto familiare è anche la goffaggine di Fantozzi in tutte quelle circostanze in cui il calcio valica quei confini invisibili della mera fruizione televisiva o radiofonica. Nelle annuali partite tra scapoli e ammogliati, organizzate dal suo collega e amico Filini, Fantozzi mostrava evidenti inettitudini e scarsissima prestanza fisica, tratti probabilmente noti a quanti tra noi ritrovano abitualmente nel calcetto con gli amici una pratica di condivisione semiforzata, a cui è più difficile sottrarsi che no, oltre che un’occasione di turlupinatura dei meno abili.

Tipicamente “fantozziana” era infine anche una sostanziale, sana superficialità di quella passione per il calcio, inteso come qualcosa di essenziale ma sacrificabile allo stesso tempo. Era un tratto che emergeva per esempio quando la sua prudenza e la sua timidezza lo rendevano del tutto impreparato – come chiunque tra noi – a gestire le logiche assurde e irrazionali del tifoso da curva vero e proprio. Noi non siamo ultrà, anche se può esserci capitato di finire lì in mezzo: noi siamo quelli che dicono all’avversario “Uìn de bèst!”, e ci credono veramente.

https://youtu.be/tbepY8t5zn8

 

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