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VIRGOLETTATO

“Se un calciatore viene trovato positivo non occorre sospendere tutto”

Francesco Vaia, direttore allo Spallanzani, ha parlato delle prospettive del paese con la riapertura delle attività, incluse quelle sportive.

In un’intervista con il Corriere dello Sport Francesco Vaia, direttore sanitario dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, ha parlato delle prospettive dell’Italia in vista delle riaperture future di alcune attività, incluse quelle sportive, dopo le interruzioni dovute al coronavirus. Ogni decisione, sostiene Vaia, dovrà essere fondata sul buon senso e sulle conoscenze tecnico-scientifiche maturate fino a quel momento. Inoltre la ripresa progressiva delle attività dovrebbe tenere conto dei differenti rischi associati alle categorie professionali interessate dalla riapertura.

Vaia fa parte del gruppo di medici coinvolti nelle recenti riunioni con il ministro dello Sport Vincenzo Spadafora, il presidente della FIGC Gabriele Gravina e le altre autorità del calcio italiano.

“Alla domanda che è venuta fuori, «cosa succede se un calciatore viene trovato positivo?», ho risposto «piano, come consideriamo la popolazione sportiva? Alla stregua degli operatori sanitari?». In questo caso, se trovo un operatore sanitario positivo, non sospendo tutti dal lavoro. Ma metto immediatamente sotto sorveglianza sanitaria il personale venuto a contatto con il positivo, test e tamponi. Per inciso, le regole che abbiamo seguito allo Spallanzani ci hanno permesso di registrare zero positività su un migliaio di operatori. Il nostro è un protocollo di saggezza. Parliamo del calcio, e ribadisco che sono favorevole alla ripartenza degli allenamenti con le prescrizioni che abbiamo elencato”.

Secondo Vaia la ripresa delle attività presuppone la messa a punto di rigide procedure di monitoraggio. Saranno necessari prima di tutto i test sierologici. In caso di alterazione evidente delle IgG (le immunoglobuline più presenti nel sangue) si passerebbe al test del tampone, per individuare i positivi e poi chi ha sviluppato gli anticorpi. “Ovviamente chi nel club non è direttamente interessato all’attività agonistica dovrà limitarsi allo smart working”, ha chiarito Vaia.

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